Il Tamburello Salentino, AA.VV. email Autore
Il tamburello nella cultura delle tarantate

Il Tamburello Salentino

.: Data Pubblicazione 25-Giu-2003 :: Letture:: 55 :: Recensione :: Stampa solo questa pagina:: Stampa pagina con tutte le sottopagine:.

 

articolo di Giorgio di Lecce, tratto dalla rivista Melissi - agosto 2002

"Il tamburo è un invenzione della prima età della pietra, e simboleggia fin dalle sue origini la massima potenza. Questa non va però intesa semplicemente come dominio esteriore o materiale, perché è "potenza" anche la creatività puramente spirituale o biologica. Il tamburo di forma più antica, mediante il quale quella potenza si manifesta, è uno strumento culturale il cui suono riproduce la forma più pura e più astratta di tutti i ritmi vitali creatori e ordinatori. Quando il tamburo fa questo, si dice che parla, che parla solennemente…".

     Maurius Schneider

      

L'etnomusicologo Marius Schneider dedicando al tamburo un paragrafo del suo libro Il significato della musica, tratto da un suo saggio degli anni Sessanta, riusciva a sintetizzare in poche pagine l'importanza e il valore di uno degli strumenti musicali più arcaici e più diffusi tra le diverse culture musicali dei popoli della terra. Gran conoscitore dei miti e dei riti delle civiltà orientali e africane, Schneider tracci a un profilo sugli usi e i diversi significati simbolici e culturali dei tamburi nelle diverse culture, ripercorrendone le origini più antiche: in questo modo ci orienta - almeno da un punto di vista metodologico - a collocare anche il nostro tamburello (o tamburo a cornice monopelle), nel contesto a lui proprio, ossia quello delle più antiche civiltà contadine e pastorali del sud della Puglia. L'uso culturale e rituale del tamburo a cornice, o tympanon, è documentato fin dall'antichità, con raffigurazioni sui vai, pareti, mosaici e sculture che abbracciano le civiltà dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo; assiri, babilonesi, egiziani, ebrei, ellenici, greci e      romani.[1] In particolare, nella pittura vascolare abulia del V e del IV secolo a.C., osservabile nei musei di Napoli, Taranto e Lecce, il tamburello, in varie forme e con varie impugnature, compare ripetutamente soprattutto con menadi e baccanti impegnate a partecipare ai rituali dionisiaci.
    

    

      

  

Sebbene non si possa documentare sufficientemente il legame tra i riti bacchici e le successive forme rituali della fenomenologia delletarantate, la costante presenza nell'iconografia del tamburello ci lascia dedurre che sia stato uno strumento di uso culturale almeno durante diversi secoli, da quando Taranto era divenuta anche uno dei centri di origine del movimento bacchico del II secolo nell'Italia meridionale, e che i riti deiCoribanti, sebbene avversati dai primi polemisti cristiani, continuassero ad essere praticati, per lungo tempo, in forme sincretiche o autonome, in aree periferiche della romanità[2].

Tornando ai significati esposti da Schneider, risulta molto interessante, per riconoscere le relazioni tra sacro e profano, terreno e divino, l'esempio da lui esposto di un tamburo venerato in India fin dal primo millennio a.C. con la forma caratteristica ad X, le cui parti superiori e inferiori vengono rivestite, rispettivamente, con la pelle di animale maschio e di animale femmina: questo tamburo a clessidra assumerebbe pertanto la funzione di mediatore fra cielo e terra e le comunicazioni tra dei e uomini avverrebbero attraverso l'unico mezzo di collegamento: il suono. Per quanto riguarda il tamburo a cornice, e il nostro tamburello, potrebbe valere un'antica leggendanordasiatica:
C'era una volta un pastore molto malato, talmente malato che spesso la sua anima abbandonava il corpo per molte ore. Un giorno capitò che la sua anima, vagando, fu acciuffata da uno spirito che la chiuse in una bottiglia premendo così forte il pollice sull'imboccatura, che essa non poté più sfuggire. Sulla terra, il malato fu perciò impegnato nella lotta della morte. Quando lo stregone lo venne a sapere, messosi in viaggi per il mondo degli spiriti, a cavallo del suo tamburo, si trasformò in una vespa e punse lo spirito nel pollice. Lo spirito, gridando dal dolore, ritirò il pollice, così che l'anima poté fuggire e, sistemandosi nel tamburo, ritornò sulla terra mentre lo sciamano (sacerdote) suonava. Quando il Dio del cielo lo venne a sapere, si adirò molto per il potere e la temerarietà dello stregone e, con una decisione improvvisa, spaccò in due parti il tamburo a due pelli dello stregone, trattenendo per sé una delle due pelli. Da allora, sulla terra, i tamburi degli sciamani hanno una sola pelle, e il loro potere è sempre condizionato alla risposta che ricevono dall'altra metà che sta in cielo
[3].
La funzione del tamburo a cornice diventa ancora più evidente in quanto gli sciamani nordasiatici e americani affermavano: Questo tamburo è per noi tanto degno di venerazione e tanto importante perché la sua forma rotonda rappresenta l'universo. Il suono forte e lungo è il polso o il cuore che batte nel centro dell'universo. E' la voce del grande spirito. Il suo suono ci consente la comprensione del mistero e della forza di tutte lecose[4]. Anche nella nostra cultura mediterranea è rimasta, per secoli, la forma circolare e la pelle di capra, quale animale sacrificale prescelto in molte religioni, con un usorituale-terapeutico, come ad esempio per gli invasati e i Coribanti magno-greci, e per i popoli del nord-Africa, e ancora oggi con una funzione di preghiera per i Sufi diBagdad, Damasco, Istanbul e Konia[5]. In Italia le raffigurazioni pittoriche di musicisti con tamburello, a tema religioso (ad es. Angeli musicanti) e profana (ad es. Allegoria del buon governo), continuarono a essere presenti nel Medioevo e nel Rinascimento, e alcune rappresentazioni di rituali della taranta e della danza tarantella sono ritratti sia in età barocca, che nei secoli successivi, fino all'Ottocento, acquistando di volta in volta significati e tipologie storiche e allegoriche. Anche se la documentazione iconografica dei tamburelli dell'antichità risultasse insoddisfacente e incompleta, quella più recente, a partire dal Rinascimento, dimostrerebbe la continuità dell'uso di questo strumento a percussione per accompagnare le danze popolari del sud Italia, e in particolare le danze curative e di guarigione degliattarantati [6].
Riguardo al significato esclusivamente terapeutico o di accompagnamento delle danze, Scneider aggiunge che è la comprensione del ritmo ad aiutare l'uomo nel processo di conoscenza di quelle cose che altrimenti gli sarebbero inaccessibili, facendo notare che:i riti antichi prescrivono danze animali non col il solo scopo di imitare allegoricamente un qualsiasi animale, bensì soprattutto di avere la possibilità di tradurre in esperienza personale il ritmo insito in quegli esseri
[7].

Nella cultura delle tarantate, essendo presente, ma non sempre frequente, la figura corrispondente allo sciamano, in quanto mediatore e uomo di conoscenza - che noi potremo individuare nelle macare (con i loro "saperi" dell'universo femminile popolare"), o nel barbiere-musico-terapeuta - la funzione del tamburello in quanto "strumento di conoscenza" rimane in secondo piano, mentre risalta principalmente la stretta relazione fra suono, ritmo e danza del tarantato che viene condotto e guidato tutto il tempo dalla pulsione ritmica del tamburello nel suo stato "particolare" di coscienza.
Intorno a questo argomento si è a lungo discusso, anche di recente
[8]con punti di vista e interpretazioni differenti ma che, in conclusione, mettono in rilievo l'importanza dell'aspetto rituale e antico del fenomeno e l'importanza del rapporto ritmo-suono-danza per la risoluzione della crisi del tarantato come hanno voluto dimostrare le osservazioni sul campo riportate da Diego Carpitella ed Ernesto De Martino in seguito alla spedizione del 1959 e quelle di Gilbert Rouget prima e Gorge Lapassade dopo, che hanno voluto riconoscere nelle danze di "Maria diNardò" uno stato di transe di possessione, attraversato dall'identificazione/lotta con il ragno-taranta.
Personalmente durante le mie "osservazioni partecipate" negli anni 1993/95, non ho notato questa identificazione con l'animale-ragno da parte dell'anziana donna di Scorrano, benché le sue ripetute danze fossero molto ritmate e partissero dalla posizione supina, per poi passare a quella eretta, molto più dinamica e saltellante. Certamente più scatenate erano le azioni dell'altra donna, più giovane ("Maria diNardò" che tornava a ballare dopo 10 anni), che muoveva aritmicamente la testa dirigendola verso di me che suonavo il tamburello. In questi casi più che un'identificazione con il ragno-taranta, si trattava di un dialogo/lotta nei confronti dell'animale, e di un dialogo/preghiera, con un'esplicita richiesta di grazia, verso il santo protettore, ossia San Paolo. È ancora Marius Schneider ad indicare un'altra interpretazione del rapporto del danzatore con l'animale di riferimento:
Il danzatore non si trasforma però nell'animale che imita e di cui assume il ritmo; rimane un uomo, perché l'assimilazione perfetta di un ritmo essenziale è possibile unicamente trasformando in sostanza propria il suono che soltanto il tamburo è capace diprodurre
[9]

NOTE
[1]F. GUIZZI - N. STAITI Le forme dei suoni: l'iconografia del tamburello in Italia, Firenze, 1989.
[2]ibidem
[3]M. SCHEIDER La danza delle spade e lataratella, a cura di P.De Giorni, Lecce, Argo, 1999, p.235.
[4]ibidem, p.236.
[5]M. RANDOM Le Soufisme et la danse, Tunisi, 1980
[6]cfr. G. DI LECCE Danzimania etarantesimo: mille anni di danze mediterranee in AA.VV. Il Tarantismo. Quarant'ani dopo de Martino,Nardò, Besa, 1999.
[7]M. SCHNEIDER , op.cit. p. 242
[8]cfr. AA.VV. Il Tarantismo. Quarantenni dopo De Martino, op.cit. 1999.
[9] M. SCHNEIDER, op. cit. p. 242

 

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