articolo
di Giorgio di Lecce, tratto dalla rivista Melissi
- agosto 2002
"Il tamburo è un invenzione della prima età della pietra, e
simboleggia fin dalle sue origini la massima potenza. Questa non va
però intesa semplicemente come dominio esteriore o materiale, perché
è "potenza" anche la creatività puramente spirituale o
biologica. Il tamburo di forma più antica, mediante il quale quella
potenza si manifesta, è uno strumento culturale il cui suono
riproduce la forma più pura e più astratta di tutti i ritmi vitali
creatori e ordinatori. Quando il tamburo fa questo, si dice che
parla, che parla solennemente…".
Maurius Schneider
L'etnomusicologo
Marius Schneider dedicando al tamburo un paragrafo del suo libro Il
significato della musica, tratto da un suo saggio degli anni
Sessanta, riusciva a sintetizzare in poche pagine l'importanza e il
valore di uno degli strumenti musicali più arcaici e più diffusi
tra le diverse culture musicali dei popoli della terra. Gran conoscitore
dei miti e dei riti delle civiltà orientali e africane, Schneider
tracci a un profilo sugli usi e i diversi significati simbolici e
culturali dei tamburi nelle diverse culture, ripercorrendone le
origini più antiche: in questo modo ci orienta - almeno da un punto
di vista metodologico - a collocare anche il nostro tamburello (o
tamburo a cornice monopelle), nel contesto a lui proprio, ossia
quello delle più antiche civiltà contadine e pastorali del sud
della Puglia. L'uso culturale e rituale del tamburo a cornice, o
tympanon, è documentato fin dall'antichità, con raffigurazioni sui
vai, pareti, mosaici e sculture che abbracciano le civiltà dei
popoli che si affacciano sul Mediterraneo; assiri, babilonesi,
egiziani, ebrei, ellenici, greci e romani.[1] In particolare, nella
pittura vascolare abulia del V e del IV secolo a.C., osservabile
nei musei di Napoli, Taranto e Lecce, il tamburello, in varie forme
e con varie impugnature, compare ripetutamente soprattutto con
menadi e baccanti impegnate a partecipare ai rituali dionisiaci.
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Sebbene
non si possa documentare sufficientemente il legame tra i riti bacchici
e le successive forme rituali della fenomenologia delletarantate, la
costante presenza nell'iconografia del tamburello ci lascia dedurre
che sia stato uno strumento di uso culturale almeno durante diversi
secoli, da quando Taranto era divenuta anche uno dei centri di
origine del movimento bacchico del II secolo nell'Italia meridionale,
e che i riti deiCoribanti, sebbene avversati dai primi polemisti
cristiani, continuassero ad essere praticati, per lungo tempo, in
forme sincretiche o autonome, in aree periferiche della romanità[2].
Tornando
ai significati esposti da Schneider, risulta molto interessante, per
riconoscere le relazioni tra sacro e profano, terreno e divino,
l'esempio da lui esposto di un tamburo venerato in India fin dal
primo millennio a.C. con la forma caratteristica ad X, le cui parti
superiori e inferiori vengono rivestite, rispettivamente, con la
pelle di animale maschio e di animale femmina: questo tamburo a
clessidra assumerebbe pertanto la funzione di mediatore fra cielo e
terra e le comunicazioni tra dei e uomini avverrebbero attraverso
l'unico mezzo di collegamento: il suono. Per quanto riguarda il
tamburo a cornice, e il nostro tamburello, potrebbe valere un'antica
leggendanordasiatica:
C'era una volta un pastore molto malato, talmente malato che
spesso la sua anima abbandonava il corpo per molte ore. Un giorno
capitò che la sua anima, vagando, fu acciuffata da uno spirito che la
chiuse in una bottiglia premendo così forte il pollice
sull'imboccatura, che essa non poté più sfuggire. Sulla terra, il
malato fu perciò impegnato nella lotta della morte. Quando lo
stregone lo venne a sapere, messosi in viaggi per il mondo degli spiriti,
a cavallo del suo tamburo, si trasformò in una vespa e punse lo
spirito nel pollice. Lo spirito, gridando dal dolore, ritirò il
pollice, così che l'anima poté fuggire e, sistemandosi nel tamburo,
ritornò sulla terra mentre lo sciamano (sacerdote) suonava. Quando il
Dio del cielo lo venne a sapere, si adirò molto per il potere e la
temerarietà dello stregone e, con una decisione improvvisa, spaccò in
due parti il tamburo a due pelli dello stregone, trattenendo per sé
una delle due pelli. Da allora, sulla terra, i tamburi degli sciamani
hanno una sola pelle, e il loro potere è sempre condizionato alla
risposta che ricevono dall'altra metà che sta in cielo[3].
La funzione del tamburo a cornice diventa ancora più
evidente in quanto gli sciamani nordasiatici e americani affermavano:
Questo tamburo è per noi tanto degno di venerazione e tanto
importante perché la sua forma rotonda rappresenta l'universo. Il
suono forte e lungo è il polso o il cuore che batte nel centro
dell'universo. E' la voce del grande spirito. Il suo suono ci
consente la comprensione del mistero e della forza di tutte lecose[4]. Anche nella nostra
cultura mediterranea è rimasta, per secoli, la forma circolare e la pelle
di capra, quale animale sacrificale prescelto in molte religioni, con
un usorituale-terapeutico, come ad esempio per gli invasati e i
Coribanti magno-greci, e per i popoli del nord-Africa, e ancora oggi
con una funzione di preghiera per i Sufi diBagdad, Damasco, Istanbul
e Konia[5]. In Italia le
raffigurazioni pittoriche di musicisti con tamburello, a tema
religioso (ad es. Angeli musicanti) e profana (ad es. Allegoria del
buon governo), continuarono a essere presenti nel Medioevo e nel
Rinascimento, e alcune rappresentazioni di rituali della taranta e
della danza tarantella sono ritratti sia in età barocca, che nei
secoli successivi, fino all'Ottocento, acquistando di volta in volta
significati e tipologie storiche e allegoriche. Anche se la
documentazione iconografica dei tamburelli dell'antichità risultasse
insoddisfacente e incompleta, quella più recente, a partire dal
Rinascimento, dimostrerebbe la continuità dell'uso di questo
strumento a percussione per accompagnare le danze popolari del sud
Italia, e in particolare le danze curative e di guarigione degliattarantati
[6].
Riguardo al significato esclusivamente terapeutico o di
accompagnamento delle danze, Scneider aggiunge che è la comprensione
del ritmo ad aiutare l'uomo nel processo di conoscenza di quelle cose
che altrimenti gli sarebbero inaccessibili, facendo notare che:i
riti antichi prescrivono danze animali non col il solo scopo di
imitare allegoricamente un qualsiasi animale, bensì soprattutto di
avere la possibilità di tradurre in esperienza personale il ritmo
insito in quegli esseri[7].
Nella cultura delle tarantate,
essendo presente, ma non sempre frequente, la figura corrispondente
allo sciamano, in quanto mediatore e uomo di conoscenza - che noi
potremo individuare nelle macare (con i loro "saperi"
dell'universo femminile popolare"), o nel
barbiere-musico-terapeuta - la funzione del tamburello in quanto
"strumento di conoscenza" rimane in secondo piano, mentre
risalta principalmente la stretta relazione fra suono, ritmo e danza
del tarantato che viene condotto e guidato tutto il tempo dalla
pulsione ritmica del tamburello nel suo stato "particolare"
di coscienza.
Intorno a questo argomento si è a lungo discusso, anche di recente[8]con punti di vista e
interpretazioni differenti ma che, in conclusione, mettono in rilievo
l'importanza dell'aspetto rituale e antico del fenomeno e l'importanza
del rapporto ritmo-suono-danza per la risoluzione della crisi del
tarantato come hanno voluto dimostrare le osservazioni sul campo
riportate da Diego Carpitella ed Ernesto De Martino in seguito alla
spedizione del 1959 e quelle di Gilbert Rouget prima e Gorge
Lapassade dopo, che hanno voluto riconoscere nelle danze di
"Maria diNardò" uno stato di transe di possessione,
attraversato dall'identificazione/lotta con il ragno-taranta.
Personalmente durante le mie "osservazioni partecipate"
negli anni 1993/95, non ho notato questa identificazione con
l'animale-ragno da parte dell'anziana donna di Scorrano, benché le
sue ripetute danze fossero molto ritmate e partissero dalla posizione
supina, per poi passare a quella eretta, molto più dinamica e saltellante.
Certamente più scatenate erano le azioni dell'altra donna, più
giovane ("Maria diNardò" che tornava a ballare dopo 10
anni), che muoveva aritmicamente la testa dirigendola verso di me che
suonavo il tamburello. In questi casi più che un'identificazione con
il ragno-taranta, si trattava di un dialogo/lotta nei confronti
dell'animale, e di un dialogo/preghiera, con un'esplicita richiesta
di grazia, verso il santo protettore, ossia San Paolo. È ancora
Marius Schneider ad indicare un'altra interpretazione del rapporto
del danzatore con l'animale di riferimento:
Il danzatore non si trasforma però nell'animale che imita e di cui
assume il ritmo; rimane un uomo, perché l'assimilazione perfetta di
un ritmo essenziale è possibile unicamente trasformando in sostanza
propria il suono che soltanto il tamburo è capace diprodurre[9]
NOTE
[1]F. GUIZZI - N. STAITI Le
forme dei suoni: l'iconografia del tamburello in Italia, Firenze,
1989.
[2]ibidem
[3]M. SCHEIDER La danza delle
spade e lataratella, a cura di P.De Giorni, Lecce, Argo, 1999, p.235.
[4]ibidem, p.236.
[5]M. RANDOM Le Soufisme et la
danse, Tunisi, 1980
[6]cfr. G. DI LECCE Danzimania
etarantesimo: mille anni di danze mediterranee in AA.VV. Il
Tarantismo. Quarant'ani dopo de Martino,Nardò, Besa, 1999.
[7]M. SCHNEIDER , op.cit. p.
242
[8]cfr. AA.VV. Il Tarantismo.
Quarantenni dopo De Martino, op.cit. 1999.
[9] M.
SCHNEIDER, op. cit. p. 242
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